Non sono un giocatore di calcio, non ho addominali in titanio e non ho mai avuto un fottuto conto svizzero. Uno sfigato come tanti, uno di quelli che le “veline” può solo immaginare di farsele quando le vede sculettare in tv, eppure, una notte…
Era la metà degli anni 90, e mi ero imbucato in una di quelle feste piene di stilisti e pubblicitari, tanto in voga allora. Lei, la velina dei miei sogni, era seduta, stranamente sola, in una poltroncina del locale. Presi coraggio e le portai un vodka-lime in un buffo bicchiere a forma di fiore. Lei rise, e sappiatelo, quando si riesce a far ridere una donna il più è fatto.
Ovviamente facemmo anche un po’ di conversazione.
“Studi o lavori?” le chiesi dando a intendere di non averla riconosciuta.
“Lavoro a Mediaset.”
“Ma dai, non dirmi che sei famosa?”
“Be’ non credo, faccio solo la velina.”
“La velina! Ma allora sei un mito!”
“Ehh… magari.”
Faceva la modesta, ma era evidente che le mie cavolate la lusingavano.
Alle due di notte le proposi di accompagnarla a casa. Lei accettò. A metà strada osai di più, e provai ad invitarla a casa mia: “così ci facciamo l’ultimo bicchiere”. Volevo scoparla, era chiaro, eppure lei accettò senza che dovessi insistere.
Appena dentro il mio appartamento faci partire sullo stereo Creep, dei Radiohead. Poi preparai due drink veloci.
Poi ballammo sul tappeto della sala.
“Eccoci qua,” le dissi stringendola.
“Eccoci qua,” rispose.
La baciai prima sul collo poi sempre più giù, fino alle tette.
Poi facemmo l’amore.
Al mattino, quando mi svegliai, lei dormiva vicino a me. Mi accostai per darle un bacio. La sua pelle odorava di qualcosa che già conoscevo e che mi faceva paura: era l’odore della solitudine. Provai pena per lei e per me stesso. Povera velina, forse era in un momento di crisi e aveva disperatamente bisogno di una scialuppa di salvataggio. Purtroppo, questa scialuppa che ero io, imbarcava acqua da tutte le parti.
Mi alzai e andai in terrazzo. L’aria calda di agosto annunciava un’altra giornata torrida. Mi appoggiai alla balaustra ad osservare le prime macchine che circolavano e non so perché ma cominciai a piangere.